In questo periodo di quarantena forzata, tra le mille criticità quotidiane, dalle più gravi a quelle meno serie, possiamo ritagliare un pò di tempo alla lettura ed alla riflessione, fuori dai ritmi frenetici che conoscevamo fino a pochi giorni fa. Proviamo a farlo anche attraverso questa chiacchierata con Andrea Titti. Conosciamo Andrea come fondatore ed editore di Meta Magazine, animatore di tante iniziative e progetti sul territorio di Albano e dei Castelli: dai giovani alle donne, dalla scuola alla salute, passando per la storia, la cultura e la passione per la politica. Lo conosciamo molto meno come persona. Per questo lo abbiamo invitato a parlare di se stesso:
Perché in tanti anni di attività e visibilità sul territorio non hai mai voluto raccontare un po’ di te e della tua vicenda personale?
“Perché nessuno me lo ha mai chiesto”;
Se lo avessero fatto avresti risposto?
“Non saprei dire, forse no, o forse avrei risposto raccontando solo una parte e non tutto”;
Stai dicendo che non saresti stato sincero?
“Dico che tutti abbiamo dei lati di noi che non vogliamo esporre, neanche alle persone con cui viviamo ogni giorno, figuriamoci al pubblico ed ai media”;
E perché ora hai accettato di farlo?
“Non c’è un motivo preciso: diciamo che ora mi sento più consapevole, forse maturo, o forse solo più vecchio, per farlo. Forse perché mi va e basta”;
Allora cominciamo: come nasce l’idea di fare un giornale?
“Da bambino sognavo di fare il giornalista e il parlamentare: probabilmente non arriverò mai a nessuno di questi obiettivi così come li avevo immaginati, ma faccio parte di quella schiera di persone che si ostina a voler lavorare anche di giorno affinchè ciò che si sogna la notte diventi realtà”;
Perché ti affascinavano questi due aspetti della vita che, professionalmente parlando, sono difficili da conciliare?
“Perché volevo cambiare ciò che non mi piaceva del mondo e raccontare come volevo che fosse”;
Parli al passato: ora non la pensi più così?
“Sono cambiati i modi e gli strumenti che uso ma la penso ancora come quando andavo a scuola, lo scrivevo nei temi o lo discutevo con i miei insegnanti. Se possibile ne sono ancora più convinto: perché di cose che non mi piacciono ce ne sono molte di più oggi rispetto a quando avevo 6 anni e iniziavo ad avere una mia coscienza critica”;
Sei non vedente: come coniughi tutto con la tua disabilità?
“Finalmente ci siamo arrivati: mi hai intervistato per chiedermi questo e ci hai messo cinque domande prima di arrivarci”;
Sei tu che ti rapporti con le persone come se la tua disabilità non ci fosse e per gli altri, intervistatore incluso, entrare in questo ambito può risultare una forzatura:
“La mia disabilità non è un ambito di me, è parte di me. Così come lo sono il mio lavoro, la mia passione per la politica o il mio carattere. Non esiste, o almeno non esiste per me, non è mai esistito: Andrea il non vedente, Andrea l’editore di Meta, Andrea il militante politico. Esiste Andrea, io sono Andrea e tutte queste cose messe assieme, non separate l’una dall’altra. Mi rendo perfettamente conto, lo vivo da sempre, che la disabilità crea imbarazzi o barriere mentali quando i cosiddetti “normali” la incontrano. Sono costretto a portare gli occhiali scuri anche di notte, figuriamoci se non mi accorgo degli interrogativi che questo suscita nelle persone che incontro ogni giorno. Paradossalmente è la percezione dei loro imbarazzi a ricordarmi la mia disabilità, non altro. Perchè per me è normale girare così, anche se so che normale non è. Ma il punto è proprio questo: non esiste il disabile, esistono le persone, con le loro caratteristiche, a volte piacevoli, a volte no, per se e per gli altri”;
Convivi dalla nascita con l’essere non vedente?
“No: sono nato con una seria malattia al nervo ottico, ma fino all’età di 20 anni, grazie alla medicina ed a una serie infinita di interventi chirurgici, se pure con una vista abbastanza compromessa, ho vissuto una vita quasi normale. A 20 anni la situazione è precipitata, inaspettatamente ed improvvisamente, per circostanze che esulavano dalla mia malattia”;
Come hai vissuto questo precipitare delle tue condizioni?
“Male…molto male. Ero sul treno per andare all’Università quando mi sono accorto che qualcosa non andava nei miei occhi. Erano le 2 di pomeriggio del 9 Gennaio 2001. La sera stessa già non vedevo praticamente più niente e non so ancora come ho fatto a tornare a casa da solo, senza finire sotto un treno alla stazione Termini. Ero perfettamente consapevole di ciò che stava accadendo, perciò quando la mattina dopo in ospedale mi diedero la sentenza, già sapevo che nulla sarebbe stato più come prima. Dopo un altro calvario fatto di operazioni e ricoveri ospedalieri ho dovuto rassegnarmi a dover ripartire da zero”;
In che senso ripartire da zero?
“La vita per come l’avevo vissuta fino a lì, che pure non era stata facilissima, era finita e me ne dovevo ricostruire un’altra. Con 20 anni sulle spalle”;
Il tuo lavoro ed il tuo impegno quindi ti hanno aiutato a superare quel momento?
“Ho passato più di un anno praticamente senza uscire di casa. Non volevo vedere nessuno esclusa la mia famiglia. Non volevo che le persone con cui avevo condiviso la mia vita precedente avessero nulla a che fare con quella che avrei dovuto inventarmi. Non volevo sentire la loro compassione, ho sempre odiato essere compatito”;
A vederti ora che sei praticamente onnipresente ovunque si stenta a credere che abbia passato un periodo simile?
“Ho deciso di riprendere in mano i sogni che scrivevo nei temi a scuola, che valeva la pena provare a spendersi, se non proprio per realizzarli tutti, ma almeno per non vivere di rimpianti e autocommiserazione”;
Un percorso non facile: ti sei fatto aiutare da uno psicologo?
“No, ho fatto da solo, ma a ripensarci oggi sarebbe stato più intelligente farsi aiutare. Sicuramente meno doloroso e meno lungo. Ma io sono testardo e voglio sempre riuscire da solo”;
Ci sono state persone che ti sono state vicine?
“Non molte, a parte la mia famiglia. Era oggettivamente complicato stare vicino ad una persona che rifiutava pure di uscire di casa ed avere contatti con l’esterno. Poche persone sapevano davvero cosa mi stava succedendo. Una di queste persone mi ha salvato: semplicemente perché ha insistito nel volermi tirare fuori dalla cuccia, dandomi la possibilità di dimostrare che non tutto era finito e che io ancora potevo avere un senso, sia per me che per altri. A dirla tutta, questa stessa persona ancora non sa davvero e nei dettagli cosa mi è successo. Ogni tanto ci ripenso e mi chiedo il perché non ne avessimo mai parlato, ne ieri, ne oggi”;
Ti sei dato una risposta?
“Perché non ce n’era bisogno: non era importante sapere cosa mi fosse accaduto o il perché io fossi così. Ci interessava solo cosa io fossi o facessi in quel momento, il resto era superfluo. Credo sia stata e sia questa la chiave di tutto”;
Adesso vivi con serenità la tua disabilità?
“Chi dice di essere sereno con la sua disabilità mente sapendo di mentire. Ammesso ci siano in giro persone davvero serene, con o senza disabilità, non si può essere sereni con un peso di tonnellate attaccato al collo, che ogni giorno ti fa fare più fatica di tutti per fare ogni cosa. Sei come un velocista che corre i 100metri con una zavorra attaccata al sedere in una gara in cui i tuoi rivali volano. Anche se vali Usain Bolt devi correre più di loro per arrivare dove arrivano loro. Più ti ostini a voler vivere pienamente la tua vita più devi faticare. Altro che serenità: la frustrazione che accumuli dentro, se non impari a gestirla e convertirla in energia positiva, ti fa impazzire”;
Tu hai imparato?
“Quando pensi di avere imparato arriva sempre qualcosa o qualcuno che ti dimostra che non hai ancora imparato…e devi ricominciare”;
Sei pessimista?
“Se fossi stato pessimista starei ancora tappato in casa a giocare col computer o davanti alla televisione. Sarebbe stato più comodo. Invece ho deciso di mettermi in discussione ogni giorno, e ogni giorno ha una sfida nuova da vincere”;
Quale la sfida di domani?
“Non te la dico…”.