Quanto accaduto la scorsa settimana a Beirut è il risultato della “corruzione endemica” che affligge il Libano. Lo ha dichiarato il primo ministro libanese, Hassan Diab, annunciando in diretta tv le dimissioni del suo governo a seguito delle proteste di massa per la devastante esplosione che la scorsa settimana ha colpito il porto di Beirut.”Viviamo ancora nell’orrore che ha colpito nel profondo il Libano ed i libanesi, risultato di una grave corruzione nell’amministrazione”, ha affermato Diab, sottolineando che il Paese sta affrontando una “grande tragedia”. Il primo ministro ha quindi accusato alcune forze politiche di avere come “unica preoccupazione il regolamento dei conti politici e la distruzione di ciò che resta dello Stato”. “Chiediamo un’indagine rapida che accerti le responsabilità e vogliamo un piano di salvataggio nazionale che veda la partecipazione dei libanesi. Ecco perché annuncio le dimissioni di questo governo. Possa Dio proteggere il Libano”. “Chiediamo un’indagine rapida che accerti le responsabilità e vogliamo un piano di salvataggio nazionale che veda la partecipazione dei libanesi. Ecco perché annuncio le dimissioni di questo governo. Possa Dio proteggere il Libano”. Nel suo intervento Diab, che guidava un governo tecnico, ha fustigato la classe politica tradizionale, sostenendo che alcune fazioni “hanno usato tutte le loro armi, inventato i fatti e mentito alle persone” perché “sapevano che per loro eravamo una minaccia”. “Ogni ministro del governo – ha proseguito – ha dato tutto ciò che poteva. Non avevamo interessi politici e abbiamo portato avanti la richiesta di cambiamento dei libanesi, ma c’è uno strato molto spesso tra noi e il cambiamento”.”Possa Dio proteggere il Libano, è tutto quello che posso dire” ha detto il premier uscente Hassan Diab, lasciando il Palazzo presidenziale a Beirut dove ha presentato le sue dimissioni al presidente Michel Aoun.L’esecutivo, che è da giorni sotto forti pressioni dopo le esplosioni che hanno sconvolto Beirut, ha perso pezzi di ora in ora. Diversi i ministri che negli ultimi giorni si sono dimessi: delle Finanze Ghazi Wazni, della Giustizia Marie-Claude Najm. Hanno lasciato anche i titolari dell’Informazione, Manal Abdel Samad, e dell’Ambiente, Demianos Qattar.
E’ un appello a ”dimettersi tutti”, perché questo governo ”non è stato in grado di fare nulla se non nascondere la negligenza”, aveva dichiarato Manal Abdel Samad, la prima rappresentante del governo di Beirut a rinunciare sabato al suo incarico. ”La bomba atomica che ci è esplosa a causa della corruzione, della negligenza e della cospirazione deve far sì che nessuno resti seduto sulla sua poltrona”, ha dichiarato citata dall’emittente Mtv. ”Chiedo ai miei amici deputati di dimettersi perché la loro presenza è diventata un fardello per il popolo libanese”, ha aggiunto.
Dimettersi oggi significa “sottrarsi alle proprie responsabilità”, aveva dichiarato dal canto suo il ministro dell’Interno libanese, Mohammad Fahmi. “Inizialmente, subito dopo l’esplosione (nel porto di Beirut, ndr), ero favorevole alle dimissioni del governo perché mi sembrava logico. Ma oggi che siamo sotto pressione dimettersi significherebbe sottrarsi alle proprie responsabilità. È vergognoso fuggire davanti alle proprie responsabilità”, ha detto Fahmi all’emittente ‘Lbci’.
E’ salito, intanto, a 220 il numero dei morti e a oltre settemila quello dei feriti a Beirut, a sei giorni dalle esplosioni nel porto di Beirut. Lo ha reso noto il governatore della capitale libanese, Maruan Abud, mentre i media parlano di ancora oltre un centinaio di dispersi. Tra questi, secondo la Bbc, ci sono molti lavoratori stranieri che si trovavano al porto di Beirut al momento delle esplosioni.
La commissione d’inchiesta creata dopo l’esplosione avrebbe concluso il suo primo rapporto e lo avrebbe consegnato al governo libanese. Il giornale al-Joumhouria scrive della consegna del rapporto della commissione al segretario generale del consiglio dei ministri, mentre si attende la riunione del governo. Il documento, secondo il quotidiano, verrà esaminato durante una riunione al palazzo presidenziale.