Disturbo bipolare in adolescenza Che cos’è

Sentiamo spesso parlare di sindrome bipolare e, ormai, anche nel gergo comune, viene utilizzato questo vocabolo, senza spesso avere un riscontro oggettivo. Per capire un problema ed individuarlo, ci si deve rivolgere a dei professionisti. Abbiamo intervistato proprio per questo, il Dottor Lauro Quadrana, Responsabile del Servizio di Pscicodiagnostica per Adolescenti, Azienda Policlinico Umberto I di Roma, Università degli studi di Roma “La Sapienza”.


Dottor Quadrana, può spiegarci che cos’è il bipolarismo?
“Ognuno di noi, durante il corso di una giornata o nella totalità della propria esistenza, sperimenta sia variazioni nel tono dell’umore, ovvero cambiamenti nell’equilibrio dell’espressione delle proprie emozioni e degli stati d’animo. L’umore di una persona rappresenta quindi, l’insieme delle caratteristiche affettive, umorali che condizionano e definiscono la nostra esistenza e il Disturbo Bipolare è esattamente un disturbo che condiziona il tono dell’umore. Viene chiamato disturbo bipolare perché i cambiamenti patologici avvengono fra due poli, uno che comporta un innalzamento del tono dell’umore (ipo o mania), e un altro che conduce ad un abbassamento dello stesso (depressione). Gli episodi maniacali durano almeno una settimana, quelli ipomaniacali almeno quattro giorni e gli episodi depressivi almeno due settimane. Se nel giro di un anno i pazienti bipolari presentano quattro episodi distinti vengono definiti a cicli rapidi. La mania pura è più comune nei primi anni della malattia; gli stati misti sono più comuni nelle fasi più avanzate, quando l’euforia può essere sostituita da un’ostilità opprimente. Gli episodi maniacali comportano un periodo di tempo discreto durante il quale il soggetto sperimenta umore elevato e/o irritabile, insieme all’autostima aumentata, difficoltà nel sonno, eloquio accelerato, fuga delle idee, concetti difficoltà di concentrazione attenzione, agitazione psicomotoria e coinvolgimento in attività che, sebbene piacevoli, possono comportare un qualche danno o rischio.”

Gli sudi e le ricerche su questa malattia, a che punto sono?
“Il disturbo bipolare (DB) è diventato oggetto della ricerca in psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza a partire dagli anni ’90, quando si è assistito a un proliferare di studi sulle possibili manifestazioni del disturbo nei bambini e negli adolescenti. Studi recenti hanno dimostrato che l'esordio del disturbo bipolare avviene spesso durante l’età
pediatrica con una sintomatologia aspecifica, con un picco di incidenza dei primi episodi manicali e depressivi in età compresa tra i 15 e i 19 anni.
A maggio 2013, nel DSM-5 è stata aggiunta una nuova categoria diagnostica, il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente, inclusa tra i disturbi depressivi. Ciò permetterà probabilmente di dare un’etichetta a molti bambini finora senza diagnosi o, secondo alcuni forzatamente, considerati piccoli bipolari.
Molti adulti bipolari sono consapevoli che la loro malattia è iniziata negli anni dell’adolescenza ma non è stata riconosciuta (né trattata) subito come tale e che una percentuale di adulti bipolari variabile tra il 15 e il 28% colloca l’esordio del disturbo prima dei 13 anni. Secondo il DSM-5, per la diagnosi di patologia bipolare durante la fanciullezza e in adolescenza devono essere soddisfatti gli stessi criteri richiesti per l’età adulta. Il DB I colpisce circa lo 0,7% della popolazione adulta e il DB II circa lo 0,5% nell’arco della vita. Il primo colpisce in modo analogo maschi e femmine, il secondo è più frequente tra le donne.”

Quali sono le caratteristiche cliniche del DB in adolescenza?
“La presenza di stati misti, un susseguirsi di stati emotivi di segno opposto, irritabilità, labilità d’umore, facilità di contatto, estrema distraibilità ed eccessi comportamentali, possono essere i tratti con cui si presenta il DB in adolescenza, confondendo le acque rispetto al quadro di sintomi descritti nel DSM-5. Il ragazzo può apparire bizzarro, “esaltato” nel comportamento e nell’aspetto, iperattivo sul piano motorio, logorroico, impegnato in maniera eccessiva in attività “creative” senza costrutto. La percezione del tempo è del tutto particolare: un tempo senza passato e senza futuro, in cui sembra che la necessità sia quella di essere sempre presenti a se stessi (non si può dormire). Al minimo, il ragazzo in stato ipomaniacale appare costantemente “affaccendato”, oltre che convinto di possedere maggiori capacità degli altri. La sua sintonia relazionale appare caricaturale, laddove, nonostante l’esuberanza, manca un reale incontro con l’altro. Il contatto è facile ma superficiale e la mancanza di un dialogo autentico con sé stesso e con l’altro fa sì che le relazioni interpersonali risultino appiattite, livellate, convergano sull’adolescente ma non lo trattengano. Così, momento dopo momento, cose e persone nuove diventano per lui qualcos’altro da sperimentare oppure spettatori dei suoi giochi.
La fase di maggior pericolo è quella degli “stati misti”, in cui si assiste al coniugarsi di una sofferenza silenziosa e di un livello elevato di “eccitamento” che può sfociare nell’atto non prevedibile. Altri elementi che possono associarsi al rischio suicidario sono la comorbilità per abuso di sostanze o gli attacchi di panico, i sintomi psicotici nel corso degli episodi, la familiarità per comportamenti autolesivi, una storia di abuso fisico o sessuale
La letteratura scientifica suggerisce che l’intervento integrato (psicoterapia, psicoeducazione e farmacoterapia) ha un’efficacia significativamente maggiore su una o più misure di outcome, in confronto alla sola farmacoterapia. I farmaci efficaci nel DB sono in prima istanza gli stabilizzatori dell’umore e gli antipsicotici di nuova generazione (o atipici) utilizzati ed efficaci in un alto numero di casi nella gestione della fase acuta maniacale. Più complessi e dibattuti sono i problemi relativi alla prevenzione delle ricadute, alla stabilizzazione delle oscillazioni intercritiche, al trattamento delle fasi depressive.
Negli episodi conclamati possono essere presenti sintomi psicotici con allucinazioni e deliri che sono di solito congrui al tono dell’umore, possono anche essere presenti disturbi formali del pensiero. Secondo il DSM-5 il disturbo bipolare di tipo I è diagnosticato quando un paziente soddisfa i criteri per un episodio maniacale conclamato e per un episodio depressivo maggiore; il disturbo bipolare di tipo II è identificato dalla presenza e dall’anamnesi positiva di episodi ipomaniacali.
Fare diagnosi è però difficile e possono volerci anche molti anni prima di riconoscere con chiarezza il disturbo. La chiave per la diagnosi è la presenza o la storia di ipomania o mania. È frequente, infatti, vedere pazienti che per anni hanno manifestato solamente episodi depressivi, senza mostrare episodi maniacali o ipomaniacali. Questi pazienti vengono perciò diagnosticati come depressi fino alla comparsa della prima fase ipertimica. Ulteriore difficoltà nel riconoscere questo disturbo è legata ad aspetti sindromici del bipolarismo. Durante gli episodi maniacali e ipomaniacali il paziente, soprattutto nei primi, non è portato a chiedere aiuto. Il tono dell’umore elevato fa percepire un benessere mai provato prima, che riduce di molto la probabilità che questi chieda aiuto ad uno psichiatra. L'ipomania può non essere ovvia senza una precedente conoscenza della persona e può venire all'attenzione del medico solo dopo ripetuti episodi, conseguenze avverse o pressioni da parte di altri. È quindi molto più probabile che, chi soffre di disturbo bipolare, chieda aiuto durante un episodio depressivo, le cui caratteristiche e sintomi sono sovrapponibili ad un quadro di depressione maggiore. Per facilitare il processo di conoscenza del problema, oltre al colloquio clinico si possono utilizzare delle interviste strutturate, test della personalità (MMPI-A) e/o psicometrici (WISC-IV) e anche fare una risonanza magnetica cerebrale, sia morfologica che funzionale, oltre ad analisi del sangue per escludere “cause” mediche.”


Priscilla Rucco

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