di Priscilla Rucco
Da un anno a questa parte, a causa della “reclusione” indotta dalla pandemia che è piombata nelle nostre vite, numerose patologie comportamentali, sono sfociate sempre più in maniera dilagante. Riconoscere precocemente una determinata malattia, permette di ridurre drasticamente gli effetti devastanti di tali patologie.
Il disturbo bipolare, si caratterizza per l’alternanza di episodi depressivi, episodi maniacali o ipomaniacali e fasi eutimiche. Sono presenti quindi significative oscillazioni dell’umore, che va da uno stato fortemente depressivo a un profondo stato di eccitazione. Queste variazioni dell’umore si distinguono dai normali cambiamenti di umore per la persistenza, l’incontrollabilità e la mancanza di un agente esterno. Altri segni di questo disturbo possono essere l’irritabilità, aggressività, variazioni nel ritmo sonno-veglia e nelle abitudini alimentari, iperattività, episodi psicotici, compromissione psicosociale.
L’individuazione precoce è fondamentale sia per la migliore efficacia degli interventi terapeutici sia perché si tratta di un disturbo ad alto rischio suicidario. Un aspetto primario nell’individuazione del disturbo è la diagnosi differenziale con altre condizioni che possono avere caratteristiche simili come la depressione maggiore, l’ADHD, il disturbo borderline di personalità, la schizofrenia. In particolare, è di primaria importanza la distinzione degli episodi depressivi del disturbo bipolare dalla depressione maggiore con cui spesso questo disturbo viene confuso; per evitare questo tipo di errore diagnostico può essere utile verificare la presenza di elevazioni dell’umore in senso positivo e le caratteristiche degli episodi depressivi, infatti nella depressione bipolare prevalgono le alterazioni comportamentali (ad esempio rallentamento psicomotorio, apatia, ipersonnia) su quelle cognitive (ad esempio tristezza, insonnia). Nell’individuazione del disturbo è inoltre fondamentale considerare la storia familiare, in quanto la componente genetica sembra giocare un ruolo fondamentale. Ne parliamo con il Dottor Lauro Quadrana, Responsabile del Servizio di Pscicodiagnostica per adolescenti, Azienda Policlinico Umberto I di Roma, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Dottore quale tipo di indagine è possibile effettuare per rilevare la presenza di tale disturbo?
“Dal punto di vista testologico è opportuno utilizzare strumenti in grado di individuare le variazioni dell’umore e la labilità emotiva. Ad esempio, potrebbe essere utilizzato l’MMPI-A che permette di verificare la presenza di profili depressivi e ipomanicali, o il PID-5 per la valutazione della labilità affettiva o anche test specifici per la depressione (come il BDI-2) e la mania,la SCID-5 -CV (Structured Clinical Interview for DSM-5- Clinical Version), un’intervista semistrutturata per formulare diagnosi secondo i nuovi criteri del DSM-5, che risulta più adatta a individui che abbiamo superato i 18 anni di età, ma può essere svolta anche con gli adolescenti applicando alcuni accorgimenti quando si pongono le domande; anche la K-SADS-PL DSM-5, una intervista diagnostica, è un ottimo strumento per l’identificazione della diagnosi e per l’identificazione della diagnosi in comorbilità con altri disturbi psicopatologici.
Il disturbo bipolare ha un esordio tipicamente brusco, ma può essere anche subdolo, con umore irritabile, discontrollo comportamentale, deficit attentivi. Può manifestarsi a qualsiasi età, anche se studi recenti hanno dimostrato che l’esordio del disturbo bipolare avviene spesso durante l’età pediatrica con una sintomatologia aspecifica, con un picco di incidenza dei primi episodi manicali e depressivi in età compresa tra i 15 e i 19 anni.
La diagnosi di disturbo bipolare richiede un’osservazione longitudinale del paziente, dal momento che il disturbo è caratterizzato da episodi con caratteristiche comportamentali tra loro opposte e che possono inizialmente fuorviare il clinico che si accinge a diagnosticare uno o l’altro disturbo. In questo caso specifico, non si deve ragionare sul sintomo presente del soggetto ma sul decorso. La diagnosi si deve basare sull’anamnesi della storia familiare del paziente: infatti il disturbo bipolare ha una forte componente genetica. A questa vulnerabilità si possono sommare fattori precipitanti che portano all’esordio vero e proprio del disturbo: eventi di vita stressanti, fattori ormonali (mania post-partum), abuso di droghe e alcol, assunzione di antidepressivi, deprivazione acuta o cronica di sonno.
I sintomi del disturbo bipolare nei giovani presentano differenze significative rispetto a quelli riscontrati negli adulti. Se negli adulti solitamente la mania si manifesta con umore elevato ed euforia, in adolescenza è più probabile che la mania sia connotata da elevata irritabilità, sensibilità al rifiuto interpersonale, esplosioni di irritabilità dirompenti e comportamenti aggressivi o esplosivi, associati a difficoltà nelle relazioni interpersonali. Questo quadro clinico può complicare la diagnosi differenziale tra disturbo bipolare e pattern emergenti di personalità borderline. Inoltre, nei ragazzi è più frequente la presenza di stati misti, come la mania ansiosa o depressiva o la depressione agitata, e la durata delle fasi tende a essere più breve con una maggiore probabilità dell’instaurarsi di cicli rapidi. Anche i sintomi deliranti all’interno dell’episodio maniacale nei soggetti più giovani sono più frequenti rispetto ai pazienti adulti.”
L’età in cui si possono manifestare i primi sintomi?
“Solitamente nella maggior parte dei casi il primo episodio si manifesta in tarda adolescenza o nella prima età adulta; in età evolutiva, il picco di incidenza si manifesta tra i 15 e i 19 anni. L’esordio potrebbe verificarsi precocemente in presenza di fattori precipitanti come l’abuso di alcool e droghe, fattori stressanti e ormonali, perdita di sonno; inoltre, si è osservato come le variazioni stagionali giochino un ruolo nelle oscillazioni da uno stato all’altro di questo disturbo. Un importante fattore di rischio è costituito dalla familiarità soprattutto in associazione con l’utilizzo di sostanze stupefacenti; è quindi opportuno prestare attenzione ai primi segni nei casi in cui siano presenti casi di disturbo bipolare all’interno della famiglia del ragazzo/a. Obiettivo della terapia è la risoluzione della fase di malattia (depressione e (ipo)mania) da una parte, ma contemporaneamente la stabilizzazione dell’umore e la prevenzione delle ricadute dall’altra, per ridurre frequenza, intensità e durata delle eventuali fasi successive. La cura del disturbo bipolare è centrata principalmente sulla farmacoterapia, a base di farmaci stabilizzanti dell’umore e antidepressivi (triciclici o SSRI), sotto attenta e continuativa supervisione medico-specialistica. Associare una psicoterapia al trattamento farmacologico costituisce il miglior trattamento per il disturbo bipolare, perché porta all’eliminazione di eventuali sintomi residui, migliora la gestione dello stile di vita personale del soggetto, l’aderenza alla terapia farmacologica, il monitoraggio dei sintomi e quindi la tempestività degli interventi, la gestione degli aspetti relazionali e le strategie di padroneggiamento dei sintomi. Tutto ciò si traduce in una diminuzione del numero e della durata degli episodi, una diminuzione dei ricoveri ospedalieri e dei tentativi di suicidio, una migliore qualità di vita percepita.
Un altro aspetto importante per la cura del disturbo bipolare e per il miglioramento della qualità di vita dei pazienti è la psicoeducazione. Gli interventi di psicoeducazione forniscono informazioni importanti al paziente per riconoscere preventivamente i sintomi iniziali delle due fasi contro-polari. La psicoeducazione è fondamentale, soprattutto all’esordio della malattia, o comunque in soggetti che fanno più fatica ad accorgersi di questi sintomi iniziali. La diagnosi dei disturbi bipolari in adolescenza rappresenta un argomento controverso. Negli Stati Uniti, la prevalenza dei disturbi bipolari diagnosticata nei bambini e negli adolescenti è aumentata rapidamente, destando preoccupazione nella comunità scientifica per l’aumento delle prescrizioni di psicofarmaci in soggetti così giovani. Solitamente il disturbo si palesa con una fase maniacale (o ipomaniacale), con durata di almeno una settimana. È stato osservato che la mania “pura” è più comune nei primi anni della malattia, mentre gli stati misti, in cui coesistono sintomi depressivi e maniacali, sono più comuni nelle fasi più avanzate.”