di Priscilla Rucco
Dal 4 al 10 ottobre 2021, si celebrano i giorni dedicati a tutti coloro che hanno DSA. Ogni bambino, ogni ragazzo, ogni individuo, interiorizza, elabora e struttura le informazioni che acquisisce dall’ambiente, con tempi, procedure e accorgimenti personali.
L’apprendimento infatti è il risultato dell’interazione di elementi concomitanti e differisce in ogni persona, così come l’intelligenza non è un elemento biologico immutabile, ma è un elemento dinamico, plasmabile che può essere potenziato, sviluppato e sollecitato. Per comprendere le ultime tecniche per superare le barriere per tutti coloro ai quali sono stati diagnosticati i disturbi dell’apprendimento, abbiamo intervistato il Dottor Lauro Quadrana Dirigente presso il Dipartimento di Neuroscienza e salute mentale, del Policlinico Umberto I (Università La Sapienza di Roma).
Quali tecniche vengono utilizzate per aumentare il sistema cognitivo dei pazienti con DSA e deficit attentivi?
“I vari training di potenziamento cognitivo (o abilitazione neuropsicologica) hanno la finalità di cercare di rafforzare sia le funzioni cognitive dominio- generali (attenzione, memoria, funzioni esecutive e ragionamento) sia gli aspetti dominio specifici relati alle abilità scolastiche strumentali (lettura, scrittura e calcolo).
L’importanza di coinvolgere nell’iter di potenziamento non solo le abilità scolastiche carenti, ma anche tutte le componenti del sistema attentivo-esecutivo, è dovuto al fatto che queste ultime risultano essere implicate trasversalmente nei processi di apprendimento e, pertanto, la loro stimolazione consente di ottenere indirettamente ricadute positive sulle capacità di lettura, scrittura e calcolo.
Il presupposto scientifico su cui si basa il potenziamento cognitivo è la neuroplasticità cerebrale, ossia la capacità del cervello di modificarsi strutturalmente e funzionalmente in risposta all’esperienza ambientale e relazionale.”
Ci dice cosa è la neuromodulazione?
“E’ un processo elettrofisiologico o chimico che interagisce con l’attività di neurotrasmissione sensoriale del sistema nervoso di un soggetto; si riferisce, dunque, alla possibilità di modificare la plasticità cerebrale e la connettività tra le diverse aree del cervello per indurre cambiamenti adattivi in termini di funzioni sensomotorie o cognitive. Negli ultimi anni, la ricerca scientifica, ha dimostrato che è possibile modulare la plasticità cerebrale cambiando, per un periodo di tempo breve, la percezione sensoriale del soggetto, inducendo così il cervello a riadattarsi alla modificazione sensoriale indotta. L’Adattamento Prismatico è una delle procedure descritte in letteratura che permette di utilizzare la proprietà neuromodulatoria con delle lenti prismatiche.
Dal punto di vista delle neuroscienze, praticamente tutto quello che facciamo “modula” in qualche modo l’attività dei nostri neuroni, perché il nostro cervello è plastico: se non lo fosse, perderemmo, per esempio, la capacità di imparare!
Quando su tale plasticità si interviene con una modulazione mirata e intenzionale che viene eseguita con una strumentazione apposita da un professionista, allora si parla di vere e proprie “tecniche” di neuromodulazione”.
In tal senso, si è visto che l’utilizzo di lenti prismatiche sono in grado di aumentare l’eccitabilità corticale dell’emisfero cerebrale ipsilaterale alla deviazione prismatica e di modulare, di conseguenza, le funzioni cognitive sottese da tali aree”.
Cosa accade durante queste “tecniche di neuromodulazione”?
“Mirano ad aumentare (o diminuire) con una strumentazione specializzata la cosiddetta probabilità di scarica dei neuroni, cioè la probabilità che essi si “attivino” o meno di fronte a un determinato input. L’adattamento prismatico modula l’attività del cervello sfruttando due elementi: il movimento (del braccio, nello specifico) e la vista (tipo di adattamento visuo-motorio).
Nella pratica, il paziente esegue un esercizio che in gergo si chiama pointing (in italiano “puntamento”) indossando degli speciali occhiali a lenti prismatiche. Le lenti prismatiche, montate su un paio di normalissimi occhiali, sono delle lenti progettate in maniera particolare in modo da deviare il campo visivo a destra o a sinistra. Dal momento che il nostro cervello è composto da due emisferi a cui sottendono funzioni cognitive differenti, la rotazione destra o sinistra delle lenti è un elemento importante nell’impostazione della terapia.
In questo modo, la deviazione del campo visivo indotta dalle lenti prismatiche induce un “errore percettivo”, che a sua volta attiva specifiche aree del cervello deputate alla calibrazione e ricalibrazione del sistema visivo, al fine di correggere l’errore percettivo. Questo processo di calibrazione e ricalibrazione, che coinvolge diverse aree cerebrali, diventa un driver che genera un “boosting” della plasticità cerebrale.
In seguito alla procedura di adattamento prismatico, il cervello entra in una finestra temporale di aumentata plasticità. IIn questo breve ma prezioso lasso temporale, della durata di circa 45 minuti, in cui il cervello è più recettivo e più responsivo agli stimoli. È proprio qui che entrano in gioco i “serious” games e la loro azione su funzioni cognitive specifiche come la memoria, l’attenzione e il linguaggio.
I serious games sono “giochi-seri” con una forte componente interattiva, che stimolano l’attenzione in modo continuativo attraverso l’utilizzo di frequenti feedback con l’obiettivo primario di attivare processi di apprendimento.
I serious games sono stati applicati con successo nella riabilitazione cognitiva, nei DSA come la dislessia, e nell’ADHD (disturbo dell’attenzione), oltre che in fase di prevenzione del declino cognitivo nell’invecchiamento fisiologico.
Con i serious games si riesce bene, infatti, a isolare e stimolare quelle funzioni cognitive variamente compromesse da queste condizioni, come l’attenzione selettiva, il linguaggio, la memoria e le funzioni esecutive.
In conclusione, mi sento di dire che l’obiettivo e la sfida è quella di trasformare le scoperte scientifiche in dispositivi medici innovativi, al fine di migliorare la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari. Oggi ne abbiamo una in più!”.