Bollettini cov19, con numeri impressionanti, il cambiamento dello stile di vita repentino ed inesorabile ha stravolto la vita di ognuno di noi ma, c’è una categoria che spesso, non viene presa in considerazione con le giuste attenzioni del caso; quella dei ragazzi.
Abituarsi da un secondo all’altro a convivere con un virus subdolo che ha cancellato la possibilità di rapportarsi e di confrontarsi anche a scuola e nella vita di sempre. Purtroppo, dati allarmanti tra gli adolescenti e bambini, indicano l’aumento di tentativi di suicidi, di autolesionismo e dei disturbi alimentari. Abbiamo sentito proprio per questo, l’obbligo morale di sollevare l’attenzione su questo pericoloso fenomeno, intervistando un esperto del settore: il Dottor Lauro Quadrana, dirigente I° Livello presso il Day Hospital Psichiatrico Adolescenti presso UOC A Neuropsichiatria Infantile, Azienda Policlinico Umberto I di Roma, Università degli sudi di Roma “La Sapienza” Responsabile del Servizio Psicodiagnostica Adolescenti HD. Specialista in Psicoterapia, esperto in Psicodiagnostica e Neuropsicologia, è docente in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva, facoltà di Medicina e Chirurgia Università “La Sapienza” (autore di numerose pubblicazioni inerenti problematiche psicologiche e psicopatologiche dell’età evolutiva. I suoi interessi prevalenti riguardano lo studio delle neuroscienze e della psicopatologia in adolescenza, in particolare nella relazione tra processo psicoterapeutico, neuro sviluppo e disturbi psichici).
Dottor Lauro Quadrana, quali sono i segnali “nascosti” da tenere sotto controllo e verso che età iniziano a manifestarsi i primi disagi?
“I segnali nascosti possono essere molto diversi tra loro e cambiare da individuo a individuo. Come sappiamo l’adolescenza è una fase della vita complessa, dove non si è più bambini, ma nemmeno adulti. È una fase di profondi cambiamenti sia a livello fisico sia a livello psicologico e sociale. Da genitori siamo spettatori partecipi di quello che definisco un “processo di neurosoggettivazione”, che vede l’adolescente impegnato in un lavoro di consilience, ossia nel tentativo di mettere insieme in modo armonico e integrato le molteplici esperienze sperimentate all’interno del proprio processo di crescita (sia biologico che psichico).
Molte volte un disagio può passare inosservato agli occhi dei genitori, poiché in un primo momento i sintomi vengono percepiti come facenti parte del normale comportamento del ragazzo, per cui non vengono considerati come un campanello d’allarme.
Per un genitore può essere difficile differenziare le normali manifestazioni di questa età da crisi psicologiche vere e proprie. Alcuni campanelli di allarme su cui possiamo prestare attenzione si possono osservare ad esempio quando ci sono flessioni improvvise nel rendimento scolastico, atteggiamenti oppositori provocatori verso le figure adulte, improvvisi sbalzi d’umore, dipendenza dai social network, difficoltà nel ciclo sonno veglia, comportamenti autolesionisti, cambiamenti nelle condotte alimentari e assunzione di alcol e droghe, sono tutti “segnali” di una possibile sofferenza psicologica negli adolescenti.”
Autolesionismo, tentati suicidi, aggressività e depressione tra i ragazzi, sono in aumento. Ritiene
che tali espressioni di sofferenza da parte dei giovani, siano in aumento a causa della società in
cui stiamo vivendo o a causa del covid19?
“Ritengo che le espressioni di sofferenza manifestate dai giovani in questo periodo storico siano in aumento soprattutto a causa del covid-19, ma anche la società in cui viviamo ha modificato lentamente alcune delle abitudini oggi più comuni tra i giovani. Già da prima della pandemia, infatti, eravamo già alle prese con molte di queste manifestazioni di sofferenza. Mi viene in mente tutta la tematica dell’isolamento sociale, in cui molti genitori si rivolgono presso il mio reparto, disperati, perché i propri figli trascorrono molte ore davanti i videogiochi o sui social, senza nessun interesse per quelle che potremmo definire “relazioni in carne e ossa”. È in questo mondo tecnologico che molti di essi si sono rifugiati durante la pandemia. Se già prima del Covid i ragazzi facevano fatica a esporsi e incontrarsi in una realtà che non fosse quella dei social, con il distanziamento sociale e le misure restrittive imposte dalla pandemia, questa situazione si è ancor più accentuata.
La pandemia e le conseguenti misure restrittive hanno messo a dura prova la salute psichica di tutti noi. In un’età complessa come quella adolescenziale tutto ciò è amplificato. L’isolamento forzato, l’allontanamento dalla scuola, dai coetanei e l’interruzione delle attività ricreative, occupazionali e sportive hanno portato ad uno stravolgimento delle abitudini dei nostri adolescenti.
All’interno della società in cui stiamo vivendo queste manifestazioni di sofferenza erano già in aumento prima dell’arrivo del covid-19, certo è che l’arrivo della pandemia ha esacerbato una situazione già fragile, in particolare in quei ragazzi che non avevano sviluppato delle strategie per far fronte alle difficoltà e allo stress.
La paura del virus, l’isolamento sociale, il ritiro, lo stato continuo di incertezza, la DAD hanno portato ad un aumento della sofferenza nei giovani, sia in quelli che si trovavano in una situazione di fragilità prima del covid-19 sia nei ragazzi che non presentavano sintomi psicopatologici prima dell’arrivo della pandemia.
Molti adolescenti vivono con grande preoccupazione questo periodo; lo stress può essere legato anche a come i genitori vivono la paura del contagio e di ammalarsi, da quello che sentono dai telegiornali, da ciò che la scuola dice loro, sentendosi quindi costantemente in una condizione di pericolo, che si traduce in una maggiore irritabilità, intolleranza, ma anche a un forte isolamento. Il mio pensiero è rivolto anche al post pandemia, ai segni che tutto questo lascerà dal punto di vista psichico e psicopatologico nei nostri giovani.”
A chi ci si deve rivolgere e quando, per cercare di evitare che un disagio si tramuti in qualcosa di
più grave?
“Per cercare di evitare che un disagio si tramuti in qualcosa di più grave, bisognerebbe intervenire nel momento in cui i “segnali” comportamentali o, stati d’animo, iniziano ad incidere negativamente sulle normali attività quotidiane del ragazzo. Parlare con gli insegnanti può essere un buon punto di inizio per capire meglio se, i sintomi sono circoscritti esclusivamente al contesto familiare o possano essere presenti anche in quello scolastico. Importante rivolgersi al proprio pediatra di riferimento o al medico per informarlo in proposito, in modo da poter essere indirizzato negli ospedali con reparti di Neuropsichiatria Infantile come il mio, oppure nelle ASL all’interno del quale ci sono i Servizi di Tutela Salute Mentale e Riabilitazione dell’Età Evolutiva (TSMREE).
Importante è che ci sia una presa in carico di specialisti (Psicologi, Psicoterapeuti, Neuropsichiatri)che abbiano una formazione specifica per l’adolescenza.”
a cura di Priscilla Rucco