di Marco Valerio Verni
Ormai sono all’ordine del giorno le notizie riguardanti la fuga di diversi migranti che, approdati sul
nostro territorio, soprattutto attraverso i viaggi sui barconi provenienti dall’Africa, scappano poi dai
centri di accoglienza dove vengono inseriti in attesa del perfezionamento delle pratiche inerenti le
loro richieste di presunta protezione internazionale.
Posto che, già così facendo, essi dimostrino di non accettare le regole del Paese ospitante (il nostro,
nel caso di specie), e che già solo questo dovrebbe poter indurre le autorità competenti ad apporre
un bel diniego alle suddette loro istanze, al netto poi delle altrettanto evidenti considerazioni sul
loro discutibile (in molti casi) diritto di accedere a tale sacro istituto, quel che appare, o, almeno,
dovrebbe apparire certo, è che, secondo giustizia, occorrerebbe aprire dei procedimenti penali in
capo a costoro, soprattutto se positivi al test del Covid-19, per valutare eventuali loro responsabilità
per quel che qui brevemente si dirà.
Sono ancora freschi- ed anzi, ancora possibili di “riattuazione”- i crescenti divieti o le limitazioni
degli spostamenti, in macchina, a piedi, o con qualsiasi altro mezzo, oltre che la sospensione sempre
più stringente di diverse attività, fino, addirittura, al famigerato lockdown, posti in essere dal
governo Conte per fronteggiare la drammatica situazione sanitaria che, tuttora, sta mietendo vittime
in tutto il mondo, accompagnati dai famigerati modelli di autocertificazione con i quali, tra l’altro,
si informava via via la popolazione italiana dei rischi connessi ad eventuali violazioni delle varie
disposizioni succedutesi in maniera quasi spasmodica nei mesi più caldi dell’emergenza.
Tra queste ultime, naturalmente, anche quelle che richiamavano i delitti contro la salute pubblica e,
in particolare, il gravissimo reato di epidemia: quest’ultimo, è previsto e punito, nel nostro
ordinamento, tanto se commesso con dolo (ossia con volontà: art. 438 c.p.), quanto se commesso
con colpa (art. 452 c.p.), ossia con imperizia, imprudenza o negligenza, ed è concretamente
imputabile, almeno in questa seconda accezione, a colui o coloro che, sorpresi “fuori casa”,
avessero invece l’obbligo della permanenza domiciliare per lo svolgimento della c.d. quarantena, in
quanto positivi, per quel che qui interessa, al c.d. Coronavirus (si badi: non si esige per questo tipo
di comportamento illecito, la creazione di un pericolo concreto per la salute pubblica , essendo
sufficiente che le condotte abbiano in sé l’attitudine a produrre nocumento alla salute pubblica
prima richiamata).
Come, appunto, nel caso dei migranti infetti, volontariamente fuggiti dai centri di accoglienza:
costoro, infatti, una volta giunti sul nostro territorio, diventano (o dovrebbero diventare) a tutti gli
effetti soggetti alla nostra legge, la cui ignoranza (ossia non conoscenza) certamente non ne
giustifica il mancato rispetto (ignorantia legis non excusat), neanche nei casi più rigidi e rigorosi
(dura lex, sed lex).
Sarebbe, poi, interessante, aprire altresì delle indagini sulle misure adottate dagli stessi centri di
accoglienza al fine di vigilare sulle persone loro affidate, così come, prima ancora, rivalutare le
politiche migratorie, soprattutto nell’attuale momento storico, ma questo è altro discorso. O forse
no. Ma, quel che è certo, è che occorra cambiare rotta ed agire con decisione. Ne va della salute di
tutti, migranti compresi.